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lunedì 26 marzo 2012

Mostra: Mark Jenkins, "Living Layers"



Il 17 marzo 2011 presso la Galleria d’arte Wunderkammern è stata inaugurata la prima personale italiana dell’urban artist americano Mark Jenkins, legata al progetto Living Layers, in collaborazione con il Macro. Si tratta di una ricerca che nasce dall’esigenza di entrare nelle profondità del territorio e di leggerne il patrimonio immateriale, il Living Heritage, attraverso le espressioni e le conoscenze che fanno parte del proprio patrimonio culturale. Mark Jenkins da febbraio è intervenuto su Roma, interpretando i Living Layers attraverso delle opere d’arte con lo scopo di far maturare una consapevolezza nei riguardi dell’arte contemporanea e della sua capacità di interpretare il mondo che ci circonda.
Sorprendente, spiazzante e provocatorio, questo geniale artista si propone con tutta la sua irriverenza attraverso la realizzazione di realistiche figure umane presentate in situazioni inverosimili: uomini ricoperti di spazzatura, o con la testa che sparisce letteralmente dentro un muro, o parti del corpo (piedi o braccia) che fuoriescono da una parete, come se la stessero attraversando veramente!
Incredibile è la cura nel dettaglio che caratterizza queste opere, per renderle il più possibile attendibili e creare così un corto circuito nella visione dell’osservatore, che si domanda se è tutto vero o no. Per esempio, chi di voi ha fatto caso all’installazione che Jenkins aveva posizionato in cima all’Hotel sulla via Casilina, all’altezza di piazza Lodi, raffigurante un uomo che pescava le stelle dell’albergo?
Concludiamo consigliando vivamente di andare a vedere questa mostra e non solo: passeggiando per Roma guardatevi intorno con attenzione e magari scoprirete le altre curiose installazioni che Jenkins ha disseminato per la città eterna, che in questo caso sembra strizzare l’occhio all’arte contemporanea in un accattivante dialogo urbano.




Mark Jenkins, "Living Layers"
17 marzo- 26 aprile 2012
Ingresso libero
Wunderkammern,
Via Gabrio Serbelloni, 124 (Roma)

giovedì 1 marzo 2012

Artista del mese: Elisabetta Fazi

                                                                      SaSSofono
         
            Elisabetta, prima di tutto complimenti! Hai una manualità eccezionale, lavori qualsiasi materiale che desideri: bronzo, legno, gesso..come nasce questa passione?

E’ qualcosa che mi accompagna sin da quando ero bambina…appartengo a un genere di bambini, forse oggi un po’ atipico, che si sono costruiti i giocattoli da soli…amavo molto farlo, tanto che non sò dire fino a che punto era una necessità (provengo da una famiglia operaia che ha superato momenti difficili economicamente) o proprio un diletto…e credo che questo abbia dato origine alla mia passione per l’uso di materiali diversi e alla curiosità che mi genera esplorare le diverse possibilità che ognuno di essi offre. Naturalmente il contesto in cui sono cresciuta, pur non essendo propriamente artistico, era comunque popolato da persone molto coinvolte con attività manuali quali il cucito, il ricamo, la maglia…nel mio percorso formativo ho ritrovato questa possibilità di espressione nella decorazione pittorica, infatti questo è stato il ramo che ho scelto x gli studi in Accademia, ed infine la più piena espressione dell’uso dei materiali è sfociata nella scultura.

        Hai anche creato un progetto legato a dei nidi veri! Cosa volevi esprimere con il “Cantico dei Nidi”?

La “nascita” è un tema che ho trattato sin dall’inizio della mia carriera artistica ufficiale, in virtù di un lavoro introspettivo sulla mia origine ma anche di una riflessione più profonda sull’atto generativo nello specifico che non smette mai di meravigliarmi come momento creativo per eccellenza…con i nidi l’osservazione e lo stupore si sono rivolti direttamente sul mondo naturale…ed è con questa ammirazione che ho cominciato a collezionare nidi ormai abbandonati fino a che, dopo anni, è spuntata l’illuminazione che li ha fatti divenire parte di un ciclo di opere.
   
           Un altro progetto che ci ha molto colpito è quello delle “Scatole delle emozioni”, vuoi condividerlo con i nostri lettori?

Anche in questo lavoro parlo direttamente di me…il mio modo di lavorare e ciò che esprimo è intriso della mia storia e in particolar modo della mia infanzia dove, se è vero che mi sono mancate certe cose, è pur vero che la mia mente e la mia fantasia mi hanno portato in luoghi che, altrimenti, non avrei esplorato…e così da bambina non riuscivo a comprendere la grandezza dell’universo e lo immaginavo come un gioco di scatole cinesi, senza sapere che questo concetto era stato già espresso in alcune culture e scuole di pensiero. Da adulta ho continuato ad avere una grande attrazione per le scatole, ho cominciato col rivestirle, con inventarle per fare dei doni, fino a ricontattare quel ricordo bambino e a concepire un progetto in cui ogni scatola contiene un’emozione per come io la sento e che posso esprimere in senso tattile, olfattivo, evocativo oltre che visivo.

        Ritieni che la scultura sia un tipo di arte difficile da piazzare sul mercato rispetto alla pittura e alla fotografia?

Si, anche se sono convinta che una buona scultura può arrivare a trasmettere un messaggio in modo più diretto di un quadro…ha una presenza fisica, è reale, non è una finestra sull’immaginazione…la scultura esiste… la si può toccare!
Purtroppo da quando è nato il mondo del mercato, e quindi parliamo di tanto tanto tempo fa’, l’uomo ha abbandonato quella manualità quotidiana che lo portava per necessità a creare i propri abiti, a dare una forma ai propri utensili, a inventare i propri strumenti di lavoro o la propria casa, in virtù di necessità completamente personali e quindi originali ed uniche. Ho “toccato con mano” questo concetto visitando recentemente il Museo Pigorini a Roma e mi sono venuti i brividi a vedere quanto abbiamo perso in questo senso…ma mi sono riconosciuta molto in quel modo di vivere, in quella manualità a 360°…anche io compro la maggior parte degli abiti che indosso, quando non posso farli fare da una sarta, ma li modifico, li decoro, li personalizzo, creo i gioielli che indosso, la mia casa parla di me, delle mie passioni…ed è frutto del mio intervento personale…Tutto questo per dire quanto ci siamo allontanati da questo contatto con i materiali e con gli oggetti, con il loro uso, con i simboli che racchiudono…nella società usa e getta non c’è spazio per delle cose che ingombrano e bisogna tenersele lì per quanto campiamo e quindi è più facile un quadro, qualunque esso sia (ho visto in case di giovani coppie delle cose che anche chiamarle croste è un complimento) oppure la stampa…o peggio l’omologato Ikea che non ti fa perdere tempo neanche con la scelta della cornice!
C’è da dire che i costi della scultura sia per produrla che a livello di mercato sono davvero proibitivi, è costoso anche spostare una scultura e, a volte, addirittura farne la manutenzione … per non parlare degli ingombri che possono essere imbarazzanti, altrettanto quanto il pensiero di dover limitare le dimensioni di un’opera solo perché altrimenti sarà difficile collocarla…

        Quanto c’è di autobiografico nelle tue opere?

Tutto, come ho già spiegato…e anche di più…ci sono gli amori, le crisi, le paure e credo che ad una lettura esperta non sfugga anche la possibilità di cogliere molto altro di me da quello che faccio… il modo in cui affronto la vita, l’attenzione verso una concezione spirituale di un certo tipo e altro ancora…Il mezzo scultoreo, anche quello di per sé, racconta della mia istintività, dell’impulsività, del mio modo di essere diretta e di voler toccare, plasmare, sentire…

        Il Master in Counseling Espressivo e Arte-Terapia quanto ti ha cambiata?

Molto. L’arte è stato di per sé un mezzo terapeutico che mi ha permesso di tirare fuori ciò che in altro modo non aveva via d’uscita. Il master mi ha fatto comprendere fino in fondo come l’ho usata e mi ha aiutato a dare un senso più pieno e una direzione a quello che voglio esprimere…oltre a fornirmi un potente ausilio come insegnante e coordinatrice di laboratori per poter usare gli stessi strumenti che sono stati utili a me con altri, mantenendo la possibilità di essere una guida ma senza condizionarne la libera espressione.

        Tu insegni il disegno e la storia dell’arte presso le scuole statali, puoi parlarci di come i bambini approcciano all'arte?

Purtroppo quando arrivano alla scuola media non sempre arrivano con un concetto appropriato dell’arte…il disegno per molti è il momento dello sbrago e del non far niente…i miei allievi dimenticano presto e, a quanto pare, con piacere questo punto di vista…la storia dell’arte, raccontata in un certo modo, e cioè con un linguaggio alla loro portata ma senza troppe semplificazioni, facendogli toccare con mano quanto c’è dietro un’opera d’arte tra significati, storie, implicazioni ecc… diventa per i ragazzi qualcosa di veramente curioso da scoprire e spesso mi capita di emozionarmi davanti al loro stesso stupore ed entusiasmo. Con il disegno e le attività manuali cerco di costruire prima l’abc della tecnica, a cui spesso arrivano altrettanto disarmati e puri dopo le scuole elementari, offrendo a tutti la possibilità di ritrovare la propria abilità e spaziando quanto posso anche in attività inconsuete…ma soprattutto cerco di stimolare la loro creatività e purtroppo questo è l’ostacolo più grande…ma mi diverto molto e imparo molto con e grazie a loro!

        Al momento a cosa stai lavorando?

Mi sono ributtata sulla “decorazione d’interni” ma in realtà banalizzo dicendo così perché sto creando un’opera unica che ho chiamato “Mobile racconto”…è un’idea che mi è venuta in mente e che potrebbe essere personalizzata a seconda della committenza…il mio Mobile Racconto è legato alla storia di una barca che va per mare con due passeggeri, in questo caso siamo io e mio marito, e affronta diverse situazioni che sono raccontate sulla facciata dei suoi cassetti sui quali sto lavorando con 3 tecniche diverse: l’intaglio in legno, la ceramica raku e il bronzo.

        Sfruttiamo la frase di Nietzche che hai inserito sul tuo sito: “Noi artisti siamo dei viandanti..ci è ignota la meta” per chiederti se il tuo vagabondare ha preso una direzione..

Tante direzioni…dove andò a parare potranno raccontarlo solo i posteri…se in un contesto artistico o altrove non lo sò, per ora l’arte è la mia vita a partire da quello che creo  fino ad arrivare a come cerco di vivere la quotidianità…cosa mangio, come vesto, cosa leggo, dove vado a sbirciare… Dove è rivolta la mia vita non posso saperlo…ogni giorno ha le sue sorprese e più passano gli anni più mi rendo conto che le mete, i progetti, i desideri prendono pieghe inaspettate… Forse l’unica cosa che ho molto chiara in questo momento è come trasformare il lavoro quotidiano, ossia quello di insegnante, in una maniera che sia pienamente soddisfacente, lontana dalle istituzioni e dalle costrizioni che sono legate al mondo della scuola così fatto…Il sogno è quello di creare, insieme ad altre persone con cui collaboro, una scuola d’arte un po’ speciale…dove fare arte non sia sinonimo di produrre cose belle, apprezzabili dal grande pubblico o vendibili ma piuttosto sinonimo di libera espressione individuale, quindi aperta a tutti, e dove si possa recuperare il gusto del “fare” così distante ma così necessario all’uomo moderno.

                                                 NIDO CELESTE...gli occhi inclini all'acqua


                                 
                                                                    Saggezza




                                                                 Didgeridoo