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venerdì 1 luglio 2011

Artista del mese: Marcello Toma



Marcello e gli ingranaggi: come nasce questo connubio?
Per quanto possa sembrare contraddittorio, non sono un appassionato di meccanica. In un quadro che dipinsi all’età di vent’anni, compariva la copertina di una sceneggiatura di J.P.Sartre, dal titolo “L’Ingranaggio”: rivedendo quel quadro e rileggendo il testo del filosofo, è scattato qualcosa…
Gli incastri presenti nei tuoi quadri raccontano una metafora di vita? Che messaggio vuoi trasmettere al fruitore delle tue opere?
Ovviamente la metafora è lì, alla portata del più sprovveduto dei fruitori. Volendo rimanere in un discorso generale, i Rotomatismi, come mi piace chiamarli con un neologismo, ci rappresentano in tutto e per tutto: sono individui e nello stesso tempo sono parte inscindibile di un meccanismo che li costringe a ruotare, e questo movimento può essere armonia pura o insopportabile coercizione. Se c’è un messaggio da trasmettere è quello della forza della collettività, l’idea che ogni singola rotella, disposta al posto giusto, può contribuire alla creazione di una macchina potentissima in grado di stritolare l’arroganza dei potenti. Ma questa consapevolezza, come vediamo, ancora non c’è…
Piano Creativo: la condivisione dello spazio lavorativo con altri artisti ti ha cambiato qualcosa? Aspetti positivi e aspetti negativi di questa esperienza..
Condividere lo spazio di lavoro con persone che operano nel tuo stesso campo non credo possa avere aspetti negativi. Qui ognuno ha la possibilità sia di lavorare in grande solitudine che di condividere le problematiche del proprio lavoro con gli altri: in altre parole è libero! Nel momento in cui, però, decidi di chiedere un consiglio, un parere o un aiuto di qualsivoglia genere, Piano Creativo diventa qualcosa di unico e quasi commovente: c’è sempre qualcuno che ti ascolta attentamente e mette la sua esperienza a tua disposizione disinteressatamente. Io sono felice di questo e affronto le giornate di lavoro con questa meravigliosa consapevolezza. Senza contare il piacere di ritrovarsi fra artisti tutti bravissimi e dai quali ho solo da imparare (voi lo sapete bene), per cui la gratificazione agisce su due piani: quello umano e quello professionale.
Quanto ti influenza il tuo background da architetto?
La capacità di astrazione, il pensare tridimensionalmente, il senso prospettico retto da una conoscenza delle regole, un senso dei volumi e dell’equilibrio degli stessi, non so…direi che l’influenza può essere questa, ma forse prescinde dagli studi, credo che sia una cosa innata.
La figura umana è praticamente assente nelle tue opere. Si tratta di una specie di nichilismo? Quanta umanità c’è nei tuoi meccanismi?
Come dicevo prima, l’uomo è il protagonista dei miei quadri, anche se ne manca una rappresentazione classica. Anzi più che l’uomo, per citare un bel libro, La condizione umana (A.Malraux). Mi piace dire che “dipingo ingranaggi e cerco di farli parlare, a volte ci riesco e a volte no”, e il senso dell’inutilità del nostro vivere e agire, che avverto spesso, si alterna alla voglia di essere parte di un disegno più complesso di cui, anche se non comprendo il senso, sento la presenza.
Guardando un tuo quadro, “Rotopolis”, mi viene in mente una frase del film di Fritz Lang, Metropolis: “Il robot è quasi perfetto. Gli manca solo un’anima. Ti sbagli, è meglio senz’anima.” Ti sei ispirato al film?
Quel quadro rappresenta la fine del “sogno industriale” che avrebbe dovuto permetterci di vivere tutti felicemente avendo relegato alle macchine il lavoro fisico, quello che nessuno avrebbe voglia di fare. Il sottotitolo “il futuro passato” indica proprio questo: la fine di un’idea di futuro idilliaca, e le ruote dentate che precipitano sono proprio le nostre speranze legate a quelle “magnifiche sorti e progressive” su cui ironizzava già Leopardi.
Il riferimento al film, di cui traduco un famoso fotogramma, è comunque chiaro, ma l’ispirazione, se vogliamo usare questo termine, è figlia dei sogni architettonici di Antonio Sant’Elia per Milano e delle intuizioni di Raymond Loewy.
Cosa ti aspetti dalla situazione artistica odierna?
Spero che finisca il tempo in cui un tappeto di burro di arachidi possa essere considerato un’opera d’arte, faccio solo un esempio, reale peraltro. Oppure che solo la provocazione, l’atto estremo, faccia notizia. Io sono solo un pittore, non mi considero un artista, misuro le opere degli altri con i miei poveri strumenti e trovo che il panorama sia irritante più che desolante. E tutto questo sgomitare per avere un attimo la luce puntata…
Progetti per il futuro?
Il futuro è il prossimo quadro, oltre non vado. E poi c’è una mostra con gli amici di Piano Creativo; sarà un bell’evento e un’altra occasione per far conoscere questa realtà che, come non ci stanchiamo mai di ripetere, è un luogo di lavoro reale, che tutti potete venire a vedere quando volete e non solo in occasione degli ormai famosi “studi aperti”.
Ti senti di dare qualche consiglio a chi si affaccia per la prima volta in questo campo?
Sarò banale ma quello che mi viene in mente sono le parole che Michelangelo scrive ad un allievo: “Disegna Antonio, disegna e non perder tempo” indicando con questo la necessità di lavorare duro per poter padroneggiare il più possibile gli strumenti della rappresentazione. Per me la capacità tecnica è alla base, sempre, di un buon lavoro. Il resto è, quasi sempre, fumo…
           

Mostra Jan & Sara Saudek


Sabato 25 giugno ha inaugurato la mostra di Jan e Sara Saudek a Mondo Bizzarro, una retrospettiva che accoglie i lavori del 1992 al 2003.

Una galleria di personaggi improbabili si offre sfacciatamente allo spettatore: alcuni sembrano appena usciti dal Circo del secolo scorso, come nane e donne contorsioniste, altri ostentano una fisicità prorompente ed eccessiva, senza alcuna inibizione. Provocatori e permeati da un erotismo immerso in una dimensione onirica, gli scatti dei coniugi Saudek sono accomunati da una forma di affascinante decadentismo.
Particolarmente d’effetto sono le foto di Jan, ambientate dentro una stanza (altro non è che il suo scantinato) le cui pareti presentano l’intonaco scrostato, umido di pioggia. Trascolorando, la parete acquista una valenza pittorica che caratterizza le sue opere proprio per questi interventi ad acquarello che l’artista esegue sulle stampe in bianco e nero, ottenendo uno stile a metà tra pittura e fotografia di altissima qualità.

Mondo Bizzarro, 
via Reggio Emilia, 32 C/D
Jan & Sara Saudek, Retrospettiva 
Dal 25/06/2011 al 04/09/2011